Il carrello della spesa era stracolmo, la montagna di prodotti che strabordava da ogni angolo copriva completamente la mia figura e, ai più distratti, poteva sembrare che il carrello camminasse da solo.
Era lunedi, insieme a mia moglie ero al centro commerciale per i rifornimenti. Spinsi quel tir carico di ogni bene fino alla cassa pronti a pagare il salato conto usando i nostri amati ticket, i buoni pasto che ricevo dalla mia società in sostituzione della mensa aziendale.
Giunti alla cassa, la gentile signorina ci informò che «la direzione aveva comunicato che da oggi è possibile pagare con i ticket fino al 50% del totale della spesa».
Fino a qualche settimana prima, usavamo i ticket per saldare l’intero importo. Addirittura era possibile acquistare prodotti come la cyclette usando i buoni pasto per il prezzo totale!
Poi, per un breve periodo, come altri centri commerciali, supermercati e piccoli negozi, inserirono una tassazione del 5% su ogni ticket.
Alle mie proteste, tutti i commercianti rispondono con la stessa litania: «le società che gestiscono i ticket ci rimborsano con forti ritardi le somme anticipate e non possiamo più sostenere questi costi di gestione.»
Sarà vero?
Ma poi, anche se fosse, perché far ricadere sull’utente una disfunzione organizzativa del sistema?
Possibile che sempre l’ultimo anello della catena deve pagare i disagi?
La trattenuta sul ticket è una vera tangente, una tassa illegittima e non giustificata.
Preferirei che il centro commerciale dichiarasse chiaramente che non li accetta piuttosto che “rubarsi” una percentuale (che poi, guarda caso, è la stessa in tutti i negozi quasi come un accordo di cartello).
La tassa (illegale) sui ticket mi ricorda l’evasione fiscale dei grandi professionisti, come i luminari della medicina che, dopo la visita, ti rimandano al pagamento dalla segretaria che candidamente dichiara: «cento euro senza ricevuta oppure centoventi con ricevuta?»
Mario Monfrecola, webmonster di faCCebook.eu, il blog di “mostri”.
Il suo sito adesso è mariomonfrecola.it