
Il Loto e la Pioggia – La Storia di Mai e della Resilienza Vietnamita
Il primo suono che Mai imparò a riconoscere non era la voce di una madre, ma il tamburellare della pioggia monsonica sul tetto di lamiera dell’orfanotrofio di Da Nang.
Questa è la storia del loto e della pioggia, La Storia di Mai e della Resilienza Vietnamita.
Il suo mondo era fatto di pareti scrostate di un verde pallido, di brande di legno dure e dell’odore persistente di riso bollito e umidità.
Non aveva un ricordo dei suoi genitori. La direttrice, una donna severa di nome signora Linh, le aveva detto che era stata lasciata sulla soglia, avvolta in un asciugamano viola. Per questo la chiamavano “la bambina del loto”, ma non come un vezzeggiale. Era un promemoria della sua indesiderabilità.
Mai era piccola e silenziosa.
Le angherie che subiva non erano botte plateali, ma mortificazioni sottili e costanti. Era l’ultima nella fila per il cibo, e la sua ciotola veniva riempita meno delle altre. Quando le ragazze più grandi rubavano il suo pane, la signora Linh le diceva: “Devi imparare a essere più forte, loto. Il mondo non aspetta i deboli”. I suoi compiti erano i più umili: pulire i bagni, lavare i pavimenti con un panno pesante e bagnato, stendere i lenzuoli sotto il sole cocente o la pioggia battente.
La sua salvezza fu la piccola biblioteca donata da una missione straniera anni prima. Mentre le altre bambine giocavano, Mai si rifugiava lì. Non sapeva leggere all’inizio, ma le immagini dei libri le parlavano. Imparò l’inglese da un vecchio libro di fiabe, associando le parole alle figure. Quelle storie diventarono il suo mondo segreto. In quel regno di carta, non era l’orfana indesiderata, ma una principessa, un’esploratrice, un’eroina.
La sua bellezza fioriva nonostante le privazioni.
Aveva occhi a mandorla luminosi e capelli neri come l’ala di un corvo. Ma era una bellezza che attirava l’invidia delle ragazze più grandi e il fastidio delle istitutrici, che la vedevano come una minaccia. Un giorno, un’istitutrice particolarmente crudele, frustrata dal suo silenzio impassibile, le strappò il suo libro preferito, “Il giardino segreto”, e lo gettò in una pozzanghera. “I sogni non riempiono la pancia, piccola loto,” le sibilò.
Mai non pianse. Attese che se ne fosse andata, poi recuperò il libro fradicio.
Con una pazienza infinita, lo aprì, foglio per foglio, e lo stese ad asciugare sul davanzale della sua stanza.
Quel gesto non era di disperazione, ma di sfida. Era la prova che nulla, nemmeno il fango, poteva uccidere completamente le storie dentro di lei.
La sua vita cambiò il giorno in cui arrivò una coppia americana, i Carlson. Lui, David, era un botanico; lei, Sarah, un’insegnante di arte. Non cercavano una bambina piccola, ma un’anima con cui connettersi. La signora Linh presentò le bambine più sorridenti e compite, ma Sarah fu attratta dalla figura solitaria seduta sul muretto del cortile, intenta a guardare un fiore di loto che cresceva ostinato in un vaso rotto.
Sarah si avvicinò. Mai non la guardò, ma indicò il fiore. “Bello,” disse in un inglese esitante, imparato dai libri.
“Sì, molto bello,” rispose Sarah, sorpresa.
“Il Loto cresce nel fango grazie alla pioggia,” continuò Mai, fissando la donna con i suoi occhi profondi. “Sporco, ma fiore è puro. Come una storia.”
Quella frase, così profonda e inaspettata, colpì Sarah al cuore. Videro in quella bambina silenziosa non timidezza, ma una forza tranquilla. Non un’orfana da compatire, ma una persona da conoscere.
I primi mesi in America, nel Vermont, furono una tempesta di sensazioni nuove. Il silenzio era opprimente dopo la pioggia costante di Da Nang. Il cibo aveva sapori strani. Ma David e Sarah furono la sua ancoraggio. David le mostrò come un giardino può rinascere dopo l’inverno.
Sarah le diede colori e tele, e Mai iniziò a dipingere.
All’inizio, i suoi quadri erano cupi: bambini sotto la pioggia, cortili grigi. Poi, iniziò a dipingere fiori di loto. Lotti che emergevano da acque scure, luminosi e perfetti.
Mai non dimenticò mai il suo passato. Lo trasformò in carburante per la sua compassione. Da adulta, divenne una psicologa dell’infanzia specializzata in traumi. Scrisse libri illustrati per bambini adottati, storie che parlavano di fiori che crescono in luoghi inaspettati, di forza nella fragilità, della bellezza che può nascere dal fango.
Apri anche un fondo di beneficenza che sostiene gli orfanotrofi in Vietnam, non solo con denaro, ma con libri, materiale artistico e programmi di formazione per gli istitutori. La bambina a cui avevano strappato le storie di mano, divenne una donna che regalava storie a migliaia di bambini.
Nella sua casa nel Vermont, c’è un quadro di Sarah nel soggiorno.
Non ritrae un loto, ma una bambina vietnamita con in mano un libro fradicio, in piedi sotto la pioggia, con un’espressione non di tristezza, ma di infinita, ostinata pazienza. Sotto, una targhetta reca una citazione di Mai: “Il fango della mia infanzia non mi ha ancorata. È diventato la terra da cui è cresciuta la mia vita.” Il loto aveva trovato il suo giardino, e ora aiutava altri boccioli a fiorire.

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